top of page
Il campanile di val montanaja
di Mauro Corona

Articolo apparso su ALP nr 112, agosto 1994

Nelle Dolomiti d’Oltre Piave, in una notte di mezza estate, l’appuntita montagna di calcare ci racconta la sua storia. Mauro Corona è un intervistatore d’eccezione: su di essa ha aperto due vie nuove e, da tempo, ha suonato per la centesima volta la campana di vetta.

Tutto quello che esiste sulla terra animato o inanimato che sia, l’uomo, gli animali, gli alberi, le rocce, l’acqua, le nubi, i prati , la neve, i deserti, le montagne, possiede una sua vita propria. Quindi anche un’anima che spesso comunica con noi. Molti non sono convinti di questo, altri navigano nel dubbio, la maggioranza non ci crede affatto. Forse coloro che s’aggrappano alla convinzione di credere sono spinti da ombre di solitudine, da incapacità di comunicare con gli altri, dalla paura della vita, della morte, dei giorni che passano, dalla noia. Ombre che non danno pace e che portano i più sensibili o fortunati a cercare nella natura la tranquillità che non trovano nel branco. Molti giovani pieni di illusioni affidano i loro pensieri al diario personale; classico esempio di come un oggetto possa animarsi e diventare amico. Personalmente non ho mai tenuto diari di carta, neanche ai tempi del "Don Bosco" quando quest’usanza era quasi obbligatoria. Fin da fanciullo ho affidato i miei problemi alle pagine di quel grande libro bianco che la natura mi offriva. E ho trovato in essa quella protezione, quell’affetto e quella sicurezza che non ho avuto (o forse non ho mai voluto) da coloro che mi sono stati vicini. Ecco allora che montagne, boschi, prati, acqua hanno, per "necessità di comunicare" acquisito pensiero e voce e di conseguenza un loro carattere e una loro personalità ben definite. Non ho mai incominciato una scalata, una scultura, una corsa nel bosco, dormito all’aperto o quant’altro, senza prima aver fatto vivere con la fantasia la materia con cui venivo a contatto. Forse è un metodo per sottrarsi alla realtà. Antonin Artaud nel suo libro su Van Gogh afferma "Nessuno ha mai scritto o dipinto, modellato, costruito, inventato se non per uscire di fatto dall’inferno". Ho conosciuto in questo modo e nel corso degli anni montagne altezzose situate in California, imbronciati e poco socievoli picchi nella fredda Groenlandia. Qui da noi ho chiacchierato con la seriosa Civetta (ora non più cattiva come vent’anni fa). Con la vanitosa Marmolada che si crede la Claudia Schiffer delle cime, o con la signora Tofana che è convinta di esser nobile solo perché vive a Cortina. E così via con centinaia di monti. A uno di questi però sono rimasto particolarmente affezionato e col quale recentemente ho avuto un lungo colloquio: il Campanile di Val Montanaia. Volevo conoscere la sua storia e così sono andato a trovarlo. Ho trascorso la notte ai suoi piedi. Una notte di marzo ancora fredda, ma che lasciava già intuire i segnali della primavera imminente. Dal sacco a pelo vedevo il suo profilo scuro. Seguivo con la fantasia le linee di salita che negli anni hanno segnato i suoi fianchi. Generazioni di alpinisti lo hanno avvicinato e accarezzato la sua roccia. Con gioia, con timore, con paura. Qualcuno l’ha pure odiato. Un simpatico e famoso alpinista friulano disse un giorno: "Scalerò quel ridicolo C… di pietra solo quando avrò ottant’anni". Beato lui che è convinto di invecchiare. Tirai un sorso dalla borraccia della grappa e incominciai: "Raccontami della prima volta".

"Quando vidi due triestini non mi meravigliai" disse il Campanile. O meglio parlò la sua anima, quella che vive dentro di lui. "Avevo visto giorni prima movimenti strani e della gente che guardava insistente verso la mia cima. Erano i simpatici Cozzi e Zanutti e mi sarebbe piaciuto fossero loro i primi a salire sulla mia vetta". "E invece?"

"Accadde che erano arrivati al termine della fessura, sotto al ballatoio. Pensa che segnavano col gesso tutti i passaggi difficili per poterli ricordare".

"E poi?"

"Poi s’intestardirono a salire dritti e non cercarono qualche metro a sinistra ove nasce la cengetta che facilita il passare".

"Ma diamine potevi aiutarli no? Suggerirgli qualcosa, dar loro la dritta!!!"

"Fui tentato di farlo ma non ne ebbi il tempo. Loro scesero precipitosamente con l’idea però di tornare di lì a pochi giorni. Invece finì come finì".

"Come?" "Cozzi e Zanutti scesero a Cimolais e presero alloggio alla locanda "Angioletta" e non come si è detto all’osteria Duranno. Qui, forse complice la stanchezza, si lasciarono andare al piacere di un buon bicchiere di vino. Durante la serata furono avvicinati da due signori eleganti e molto educati che parlavano foresto. Con stile e arguzia i due nuovi arrivati si fecero spiegare dai triestini metro per metro il tratto d’intinerario da loro percorso sul mio lato sud. Glanwell e Saar (questi i nomi dei due birbanti) avevano già individuato giorni prima, col binocolo,dalla cima Toro, la cengetta del passo "chiave". Ricevute le istruzioni necessarie dagli ignari triestini non fu loro difficile fare due più due!!! Pochi giorni dopo sentivo i tedeschi che esultavano sulla mia vetta. Mi pare che era settembre nel 1902".

"Ostia peccato però" bofonchiai, "Eh sì" rispose il Campanile "Cozzi non prese bene. Quella "svista" sarà la spina nel fianco che lo tormenterà per il resto dei suoi giorni".

"E di Casara cosa puoi dirmi? Sai che ci fu quella lunga polemica … "

"Ah il romantico Casara!!! Venne un giorno di fine estate nel 1925. Un pomeriggio malinconico e piovoso. Lo ebbi per ore tra i piedi. Girava di qua, di là, da est a ovest. Era già tardi quando si spostò dietro di me, verso nord".

"Ma salì o non salì lo strapiombo famoso?" – chiesi impaziente "Senti, io lo vidi che stava armeggiando con qualcosa poi improvvise s’alzarono fitte nebbie che lo nascosero completamente. Lo rividi verso sera, scalzo, che vagava attorno al ballatoio tutto agitato".

"Ho capito , neanche tu vuoi sbilanciarti. Eppure sei l’unico che può sapere la verità sulla storia di Casara".

"Ti ripeto, le nebbie".

"Va bene, va bene".

"Aspetta – disse il monte – Prima di lui su quel tratto di roccia vi avevano provato i fratelli Fantoni: Umberto, Paolo e Luisa assieme a Bleier e Schroffenegger. Erano "montati" in quattro uno sull’altro per arrivare a piantare i chiodi nella fessurina. Non ti dico quanto ho riso nel vederli così, goffamente l’uno sulle spalle dell’altro. E Schroffenegger che bestemmiava di far presto mentre sosteneva sulla schiena il peso degli altri tre. "Però" commentai "che coraggio e che intuizione ebbero quelli se pensi che erano nel 1913". Dopo una breve pausa e un sorso di grappa chiesi ancora: "E Piaz?"

"Piaz non si interessò mai a me se non per farmi conoscere i suoi clienti. Portava su della gente o gli amici. Bestemmiava di continuo e maltrattava le donne che erano con lui. Un giorno, era mi pare nel 1906, stufo di scendere sempre per la via di salita preferì calarsi giù dal nord con una "volata" nel vuoto di 40 metri. Era proprio un diavolo quello!"

"E dopo?"

"Ma sai dopo veniva ogni tanto qualcuno a trovarmi sempre seguendo però la via dei primi salitori. Ma un giorno nell’autunno del 1928 capitarono a farmi visita due bellunesi: Zanetti e Patrizzi. Bravi e veloci salirono da ovest per quella spaccatura di destra che porta al pulpito Cozzi. E che coraggio dimostrò -mi pare- Zanetti? (O fu Parizzi? Beh non mi ricordo bene ma mi pare fosse il primo), nel superare la fessura senza chiodi. Poi venne Tissi. Era il 1930. Tissi, con Zanetti e Zancristoforo, voleva ripetere la via di Casara per capirci qualcosa. Aveva classe quello. Anche nella persona. Taciturno e deciso. Dalla fessura però salì troppo in alto. Dovette perciò attraversare a destra fino alte rocce facili. Fece in questo modo, quasi senza saperlo, una via nuova, pochi metri sopra la Casara."

"Tu continui a chiamarla la "Casara" – dissi per provocarlo – ma se non l’hai visto a scalare?"

"Beh è solo per capirci meglio e non fare confusione". Rispose lo spirito astuto del Campanile. Poi riprese a raccontare: "Nel … 59 mi ritrovai dietro alla schiena due simpatici personaggi. L’uno di Murano: Plinio Toso, maestro vetraio e pescatore, l’altro, che non pesava più di 40 chili, era Bepi Faggian di Pordenone. Lavorarono per più giorni con staffe e chiodi ma toccarono il ballatoio con una via diretta al centro della parete nord".

"E Carlesso quando arrivò?"

"Carlesso era venuto su più volte. Poi nel 1961 s’era rotto le scatole di sentire parlare di me e dei miei fianchi inaccessibili. Volle così lasciarmi il suo ricordo sul lato destro della parete est. A dire il vero ci aveva provato una prima volta con Bepi Faggian quello di 40 chili. Ricordi? Arrivarono fino a metà parete. Ritornò quindi con De Zanna e finì la sua via sul ballatoio. Piantò molti chiodi allora Carlesso. Sai aveva ormai una certa età. Occorre però riconoscergli l’occhio del grande alpinista e il "fegato nel progettare una strada così ardua per venirmi a trovare". "Ah dimenticavo di dirti di una scalata importante. Sempre sul mio lato est ma verso sinistra, ci provarono nel … ‘38 Comici e il suo amico Casara. Il triestino arrivò fin sotto la fessura nera e quasi sempre bagnata. Fu più che altro un’ispezione, poiché sono sicuro che tecnicamente Comici sarebbe stato in grado di venir su. Senza problemi. Ci si mise poi anche la pioggia e i due tornarono a casa. Era destino però che fossero i triestini a firmare quella via. Infatti nel … ‘55 Spiro Dalla Porta Xidias e Pono Cetin completarono, (con un tribolato bivacco) l’itinerario tentato da Comici 17 anni prima. Voglio ricordarti che Spiro Dalla Porta Xidias era anche stato il primo a venirmi a trovare d’inverno. Infatti nel febbraio del … ‘44 con il suo amico e maestro Ezio Rocco venne su per gli strapiombi Nord".

Ad un certo punto devo essermi addormentato perché non sentivo più la voce del racconto. Ma verso le tre del mattino il Campanile mi svegliò lanciando sul ghiaione un "pezzetto" del suo corpo di pietra provocando un gran fracasso.

"Allora vuoi sentire il seguito della mia vita o no?" Disse risentito.

"Certo", risposi, colto di sorpresa. "Scusami sai ma ho sorseggiato un po’ dalla bottiglia … devo essermi appisolato".

Riprese: "Nell’esempio di Carlesso i Pordenonesi incominciarono a cercare nuove vie in questa zona. Fu così che un giorno nell’estate del … Dino Ulian e Carlo Scaramuzza deposero i loro zaini sotto il mio lato ovest. Puntarono dritti alla spaccatura sulla sinistra della parete. Arrivarono alla nicchia del camino Saar dopo aver superato circa 150 metri di parete a strapiombo.

"Scusa, perché lo chiami camino Saar?" domandai incuriosito "Quando tutto il mondo alpinistico conosce quel passaggio come camino Glanwell?".

Perché fu Carl Gunter Von Saar a superarlo da primo e non Glanwell!!! Ed è giusto dare a Cesare quello che è di Cesare". Rispose irato il Campanile. "Sai – dissi per calmarlo – che Dino Ulian adesso che è in pensione ha ripreso ad arrampicare seriamente?"

"Lo immaginavo! Da uno come lui me lo aspettavo. Ce l’ha proprio nel sangue quello!" Rispose un po’ più calmo.

E dopo cosa ti è capitato di nuovo?" Chiesi da finto tonto, poiché sapevo che a questo punto avrebbe dovuto esprimersi sulle mie due vie nuove. "A te sarebbe da bastonarti", disse serio, "la via che hai fatto a ovest con Carratù e Giordani è stato un puro gesto di ambizione".

"Ambizione?!" Risposi perplesso. "Si, ambizione! Volevi entrare anche tu nel libro della mia vita; o meglio volevi apparire nel nuovo libro che Spiro Dalla Porta Xidias sta scrivendo su di me" (anno 1994 vedi copertina in figura n.d.r.).

"No, non è vero! Quando l’ho aperta non sapevo che Spiro pensasse al libro".

"Bugiardo! Non ne eri sicuro ma sentivi la "voce" di una nuova edizione del vecchio volume del triestino e hai voluto riservarti una pagina". Devo essere arrossito ma nel buio forse non s’è ne accorto.

"Comunque sia – riprese – è un itinerario splendido, sempre in strapiombo e in stile "buono". Chiodi normali e tutta in libera. Bravi!" "E quella a est?" chiesi con un certo timore.

"Beh quella fu una cosa più sentita. Eri con Sandro Gogna. Il problema era evidente come quello a ovest, del resto. La zona centrale della parete era tutta "Vergine", con quella fessurina che va su in fuori fino al ballatoio. Hai visto che classe il Gogna quando toccava a lui da primo?"

"Per me – dissi – è la via nuova più difficile che ho fatto da queste parti". "Però"- ribatté il Campanile, "potevate uscire dritti senza quel traverso a sinistra".

"Strapiombava più di 20 metri – mi giustificai – ed eravamo al tramonto fisico e solare. Ma non è detto che non si torni a raddrizzarla" All’improvviso mi ricordai di un itinerario che corre sullo spigolo sud est e di cui il Campanile non mi aveva ancora accennato. Lo "provocai" chiedendo spiegazioni.

"Sarebbe stata una bella via classica"; disse il monte con aria triste: "Ma i due di Maniago, Paolo Beltrame e Patrizio Ivo, avevano in tasca gli spit! E a un certo punto me ne hanno ficcato uno nel corpo proprio vicino al cuore. E tu lo sai benissimo che non serviva perché una spanna più in là sarebbero entrati i chiodi normali".

"Ognuno fa quello che gli pare – ribattei – ma con gli spit è come entrare nel castello della paura di Gardaland. Vi sono mostri, spettri, streghe e fantasmi a volontà. Ma la paura che provi è fatta anch’essa di plastica. Finta, ridicola, e falsa. E alla fine esci piacevolmente dal tunnel, a sorseggiarti la Coca-Cola".

"Va bè dai, lasciamo perdere e raccontami qualche aneddoto". Risposi facendo finta di niente ma in cuor mio felicissimo del suo tagliente giudizio.

"Aneddoti ce ne sarebbero da farci sopra un libro: di belli e di brutti, di comici e di drammatici. Non dirmi che non ricordi di quando incrociasti Cassin col figlio Tono? O di quella volta che trovasti in vetta Messner con gli allievi della scuola di roccia di Monaco? O di quando incontrasti Gaston Rebuffat?"

"Certo che ricordo. E ogni volta per timidezza non ebbi il coraggio di salutarli. Quelli erano i miti di allora – sentenziò il monte – e voi eravate un po’ più umili di adesso". Voglio raccontarti un segreto – riprese sottovoce – "una volta due amici tuoi mentre preparavano la manovra per la lunga calata in corda doppia sbagliarono qualcosa. Con guizzo improvviso le loro corde scivolarono giù dalla parete aggrovigliandosi sul terrazzo 40 metri sotto. Avresti dovuto vedere le loro facce! E si accusavano l’un l’altro dell’errore scambiandosi titoli irripetibili prima che sui loro volti comparissero vergogna e paura. Ma la fortuna aiuta non solo gli audaci ma anche gli sprovveduti. Una cordata di morosi saliti su di qua a ore tarde li trasse d’impaccio senza tanto clamore e risparmiandogli l’onta dell’elicottero".

"Dimmi chi sono – pregai cinico – no, non è bello né corretto! Anche se meriterebbero una lezione. Poiché in quanto a cinismo ed egoismo quei due sono dei veri campioni". "Adesso vorrei farti io una domanda che mi tormenta da parecchi anni" Disse con aria indagatrice il Campanile.

"Sentiamo". Risposi incuriosito.

"Vuoi spiegarmi perché sei venuto sulla mia cima per 94 volte?" (articolo del 1994 n.d.r.)

"Innanzitutto perché voglio arrivare a 100 (oggi inizio 2001 traguardo arrivato e superato). L’hai detto tu che sono ambizioso no? Secondo perché incontro sempre gente che vuole venirti a trovare per la prima volta e mi chiede di accompagnarli. Terzo perché mi diverto e ogni volta non è mai uguale alla precedente. E quarto, che ci creda o no, perché mi sono affezionato alle tue strambe pareti che vanno in su a cono di gelato". La montagna sorrise e riprese a raccontare. "Mi vengono in mente quei tipi del Basso Friuli che nel febbraio di 5 anni fa sbandierarono ai quattro venti la loro salita invernale":

"Quello non fu un inverno – risposi seccato – giornate calde e nitide senza un pelo di neve non fanno inverno!"

"D’accordo, d’accordo, ma neppure tu sei stato tenero nella vendetta. Sei venuto su 3 giorni dopo scalzo e con i soli pantaloni corti indosso. Per umiliarli".

"Se lo meritavano!"

"No, non serviva – ribatté il Campanile – sei stato meschino! Ma sorvoliamo e passiamo a quel tedesco sessantenne che voleva a ogni costo salire sulla mia vetta senza aver mai visto roccia in vita sua".

"Ah, quello fu un’avventura tragicomica" risposi.

"Infatti lo vedevo venir su strisciando sulla pancia e sulle ginocchia ed era tutto insanguinato. Impiegasti quasi 10 ore con quel tizio che ad ogni metro "superato" alzava la mano destra inneggiando ad Adolf Hitler. Ci fu un momento che tu pensasti di buttarlo giù di sotto ricordi?"

"Si ricordo bene. Ma poi sai cosa mi capitò?"

"No".

"Verso Natale mi fu recapitato a casa un pesante pacco. Conteneva una moderna macchina per scrivere. Il biglietto d’auguri recava impresso il nome del Tedesco. Scoprii così non senza sorpresa che il mio occasionale compagno era un facoltoso costruttore di macchine da scrivere". All’improvviso la voce della montagna mutò in una sonora risata.

"Perché ridi adesso?" domandai.

"Mi viene in mente la macchina da scrivere! A te!!! E’ come regalare un’enciclopedia a un vecchietto analfabeta. E come vuoi ridere di quella volta che venisti su con Bruno De Donà? In cima vi siete scolati un bottiglione di vino e poi non eravate più capaci di scendere. Adesso basta però, sennò andiamo avanti fino a primavera".

"Sì – risposi - è meglio smettere coi ricordi e pensare alle future scalate. Ad esempio ci starebbe una via nuova sul tuo spigolo sud ovest".

"Ma lascia perdere! Non ne hai ancora abbastanza di vie nuove sulla mia pelle? E poi sai benissimo che vorrebbe farla quel tuo amico di Pordenone. Sei sempre il solito egoista? Pensa invece a venire su un giorno con il vecchio Carlesso. Ricordi che l’anno scorso ti chiese di accompagnarlo (forse) per un’ultima salita?"

"Si, mi ricordo". "E c’è anche Spiro Dalla Porta che vorrebbe venirti a trovare un’ultima volta".

"Allora penso proprio che quest’anno ci vedrai tutti e tre. Se la fortuna ci dà una mano suoneremo ancora la tua campana". Me ne andai ai primi chiarori dell’alba.

Ormai la storia la conoscevo. E poi, con la luce del sole le cose della terra s’allontanano da noi in silenzio. Non rimaneva che quella promessa di ritornare. Forse una, dieci o cento volte ancora. Con i vecchi alpinisti o con quelli giovani che iniziano timidamente. O con i miei figli. Chissà!!! Tutto questo sarebbe molto bello, ma ciò che faremo in futuro non dipende solamente da noi.

bottom of page